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Trento, 17 febbraio 2010
Classe dirigente
Impegno e studio da riscoprire

di Marco Boato
dal Trentino di mercoledì 17 febbraio 2010

Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”: così recita testualmente l’art. 49 della nostra Costituzione. Ed è singolare che, da quando si discute di riforme istituzionali ed alcune sono state anche attuate, a nessuna forza politica e neppure ad alcun giurista sia venuto in mente di proporne una modifica. Questo significa che a distanza di 62 anni dalla sua entrata in vigore, il dettato costituzionale ha conservato la sua piena attualità e validità. Difficilmente si sarebbe potuto descrivere in modo più efficace e sintetico il ruolo dei partiti come associazioni libere, che promanano dalla società civile (“tutti i cittadini”) e che hanno l’unico vincolo del “metodo democratico” per concorrere a determinare la vita pubblica.

 Eppure, nel dibattito che, da domenica 7 febbraio, il direttore del Trentino Alberto Faustini ha aperto sul “problema di formazione e di selezione di una nuova classe dirigente” quasi tutti gli interventi hanno posto con forza e in modo ricorrente la questione dei partiti: del loro ruolo, dei loro cambiamenti, addirittura della loro sostanziale assenza rispetto al passato. Qualcuno ha richiamato le differenze rispetto alla cosiddetta “Prima Repubblica”, la crisi di Tangentopoli della prima metà degli anni Novanta, gli effetti della caduta del Muro di Berlino del l989 sulla crisi delle ideologie totalizzanti, il venir meno delle scuole di formazione politica, il crescente impatto dell’individualismo, la perdita di passione politica e di richiamo ai “valori forti” rispetto alla quotidianità degli interessi, il carattere sempre più “gerontocratico” della società italiana, non solo nella politica ma anche negli altri ambiti.

E’ tutto vero e in realtà non riguarda solo la società trentina - su cui giustamente ha attirato l’attenzione e la riflessione a più voci Alberto Faustini -, ma più in generale la società italiana in tutti i suoi aspetti. Per il Trentino il problema si pone con maggiore pesantezza, proprio perché siamo una provincia di ridotte dimensioni geografiche e demografiche, in cui la mancanza di ricambio della classe dirigente emerge con maggiore evidenza.

 Credo che a tutti i cambiamenti che sono stati ricordati, in relazione agli ultimi vent’anni, bisognerebbe aggiungere anche le imponenti trasformazioni tecnologiche nel mondo dell’informazione e della comunicazione: il ruolo onnipervadente dei mass media, la rivoluzione informatica con l’esplosione di Internet, il mutamento che tutto ciò ha comportato nelle relazioni interpersonali e collettive. Si tratta di trasformazioni e innovazioni che hanno sempre più cambiato il rapporto di ciascuna persona con la realtà circostante e quindi anche col mondo della politica e con il modo di “fare politica”. Vorrei aggiungere anche - altri l’hanno ricordato - gli effetti pesanti, talora devastanti della crisi economica sulle relazioni sociali, sugli spazi di tempo a disposizione di ciascuno, ma soprattutto dei più giovani, per impegni che siano al di fuori dello studio o del lavoro (per chi ce l’ha...). Se le preoccupazioni economico-finanziarie assorbono sempre più spazio ed interessi nell’arco della propria giornata, se la paura del futuro incombe fin dalla giovane età, è assai difficile - salvo eccezioni - che l’impegno politico, la passione per gli ideali e i valori (che sono altra cosa dalle rigide ideologie), anche la semplice militanza associativa diventino fonte di attrazione, tanto più in una fase storica in cui il dibattito politico appare spesso immiserito da rivalità e meschinità, quando non da scandali e discredito. Eviterei tuttavia di cadere nella tentazione ricorrente di quelli che papa Giovanni XXIII all’apertura del Concilio Vaticano II già nel 1962 chiamava “laudatores temporis acti”, coloro che rimpiangono sempre i tempi passati e vedono nel presente solo aspetti negativi e catastrofici. Sono stati citati positivamente Piccoli e Kessler. Ricordo che Flaminio Piccoli per non lasciare il campo - non della politica, ma del Parlamento - concluse infelicemente la sua “carriera” andando a farsi rieleggere nella Castellamare di Stabia del suo collega Gava. E ricordo che Bruno Kessler - insoddisfatto della politica nazionale (eravamo colleghi al Senato e me lo disse esplicitamente in un colloquio riservato, chiedendo anche il mio parere) - nel l988, rieletto da appena un anno, meditava di ritornare in Trentino per ricandidarsi alla guida della Provincia autonoma nell’autunno successivo (ma la strada gli fu allora sbarrata dalla nuova generazione del suo partito e tre anni dopo purtroppo morì).

Faccio un esempio completamente diverso per quanto riguarda la formazione politica e le cosiddette “scuole di partito”, di cui molti degli intervenuti nel dibattito hanno lamentato la scomparsa. Ebbene, da quasi cinque anni (dal 2006) i Verdi del Trentino, unici, stanno promuovendo, con una periodicità mensile e in modo aperto a chiunque sia interessato, la “Scuola di formazione politica e culturale Alexander Langer”, nella quale si sono avvicendati relatori di altissimo livello (per lo più docenti universitari o specialisti di ciascuna materia, al di fuori di qualunque appartenenza precostituita) su una vastissima varietà di temi: storici, giuridici, politologici, ecclesiali, internazionali, ecologici ed ambientali, istituzionali ed economico-sociali. Il risultato è stato finora davvero eccellente, anche per il metodo della partecipazione (un intero sabato pomeriggio, ogni mese, con ampie relazioni iniziali e larghissimo dibattito su ciascun tema). Un bilancio del tutto positivo, oltre a tutto basato sul volontariato, ma che non ha risolto se non in minima parte il problema della formazione della classe dirigente.

 Quindi, la questione posta da Alberto Faustini esiste ed ha ragioni più profonde, a meno che qualcuno non pensi di risolverla (c’è chi l’ha fatto, ma in modo non convincente) semplicemente confermando la classe dirigente attuale, magari cambiando ad personam la legislazione che attualmente lo impedirebbe. Una nuova classe dirigente (e non solo nella politica, come è stato giustamente osservato) si forma sul campo, riscoprendo il gusto dell’impegno ma anche dello studio, della militanza ma anche della ricerca culturale (pensiamo al campo vastissimo dei temi ambientali: dai cambiamenti climatici alla questione energetica, dall’assetto idro-geologico alle biodiversità, dai rifiuti all’inquinamento atmosferico, dalla mobilità sostenibile all’edilizia eco-compatibile). La politica richiede “professionalità” ma non deve diventare una professione da cui dipendere economicamente, richiede impegno e dedizione sia che si possano conquistare incarichi rappresentativi o meno (purtroppo c’è chi fa coincidere gli incarichi con l’impegno, che poi cessa quando l’incarico viene meno, e questa non è una buona “scuola politica”). Per i giovani di oggi non è facile, ma sono convinto che le risorse e le potenzialità ci siano: purché si accettino le sfide di una battaglia politica (ma anche sindacale, imprenditoriale, universitaria) senza pretendere o cercare una qualche facile occasione di “cooptazione”, che è la forma peggiore del ricambio generazionale.

Personalmente, dalle istituzioni politiche sono entrato e uscito più volte, mai abbandonando il mio lavoro all’università, che mi permetteva il contatto con le nuove generazioni e soprattutto non mi obbligava a dipendere economicamente dalla politica, che pur mi ha sempre appassionato fin dalla più giovane età. Nel 2008 alla mia esclusione dalla candidatura parlamentare ho risposto “obbedisco” e ho continuato l’impegno con la stessa dedizione. Sabato prossimo lascerò il ruolo di Presidente dei Verdi del Trentino, ma continuerò a dedicarmi alla politica e alla causa ecologica finché mi sarà data vita. Perché la politica non è una “carriera”, ma una passione civile che riguarda ciascuno di noi prima di tutto come cittadino. “Tutti i cittadini...”: i padri costituenti avevano visto giusto, nonostante tutto.

Marco Boato

 

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